TRANSIZIONE: UNA DIAGNOSI PER PASSARE ALL’AZIONE!
In un processo di management di transizione, la tappa della diagnosi è essenziale: da questa fotografia dipenderà il piano d’azione da seguire e, conseguentemente, il successo della trasformazione dell’azienda. La diagnosi di transizione ha diversi obiettivi legati alla contemporaneità delle iniziative da realizzare e al loro potenziale di aggregazione dei team. Ma come si articolano questa diverse fasi quasi simultanee? Quali sono i fattori di attenzione presi in considerazione dal manager di transizione ?
Al contrario di una diagnosi di consulenza analitica, la diagnosi di transizione è finalizzata a mettere rapidamente in moto il sistema e correggerlo. Due priorità assolute sono: ottenere credibilità agli occhi del personale e minimizzare gli ostacoli al cambiamento.
Effettuare la diagnosi garantendo già l’operatività
La prima questione da tenere a mente è la velocità di implementazione. La diagnosi servirà ad avviare le prime operazioni, ossia delle azioni a rapido successo (Quick Win) a cui la maggioranza dei dipendenti aderirà, con due vantaggi principali: raggiungere i primi risultati visibili e instaurare una dinamica positiva nel personale. A tal fine, la diagnosi cerca di evidenziare le aree di convergenza, ossia gli elementi che uniscono il maggior numero di individui intorno a un obiettivo comune, e di proporre soluzioni.
Alla ricerca di chi…possiede le competenze
Ricordiamo che il management operativo non è finalizzato a dire se questo o quel dipendente ricoprano la posizione giusta, ma a identificare i collaboratori che potranno svolgere un ruolo chiave nell’avvio del cambiamento! In un’azienda, infatti, esistono diverse strutture di potere, da quella gerarchica a quella informale o di influenza fino a quella su cui il manager di transizione (vedi definizione sul nostro sito) farà affidamento, legata alla creazione di valore. Questa struttura è composta da dipendenti che sono percepiti come punti di riferimento dai loro pari all’interno dell’organizzazione e che hanno competenze o esperienze significative in materia di trasformazione. Ma spesso questo tipo di informazioni rimane latente o inutilizzato all’interno dell’azienda…
Preoccuparsi del “come” e non del “perché”
Il metodo adottato deriva da quanto detto ed è basato sui colloqui con i team interni allo scopo di identificare i principali punti di forza e debolezza del sistema. In un contesto di transizione, non ci si focalizza su quello che è stato fatto finora ma su ciò che si farà della situazione esistente. Pertanto, una diagnosi “riduzionista” estremamente precisa, come una diagnosi medica, sarà rilevante? La risposta è no. Va preferito un approccio sistemico a una tipica visione analitica e questa fase di diagnosi non dovrebbe durare più di qualche giorno!
Fin dall’inizio, l’atteggiamento di ascolto, di considerazione positiva e di co-costruzione, tipico del management di transizione e che favorisce il lavoro cooperativo, guiderà i team in un processo costruttivo, essenziale per il successo del cambiamento.
Promemoria: il momento dell’alleanza è un momento decisivo
Dato che la richiesta di intervento viene espressa da un individuo a nome del sistema, essa tiene conto degli interessi personali della persona che possono non combaciare perfettamente con quelli dell’organizzazione. Tuttavia, la problematica resta spesso di carattere manageriale: anche se gli effetti sono misurati correttamente, i malfunzionamenti non si verificano sempre là dove sono stati segnalati…
In realtà, la fase iniziale dell’alleanza è cruciale. Senza esplicitarlo, il manager di transizione deve verificare che il suo interlocutore sia in grado di percepire quale ruolo eventuale ricopre nella situazione constatata. Ora, questa capacità di mettersi in discussione non è né naturale né facile, perché va a toccare l’ego del committente, oppure mette in discussione un atteggiamento che a volte si protrae da anni… Eppure, è da questo che può dipendere il successo del progetto.